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Allucinazioni americane

Kim Novak in "La donna che visse due volte" (Vertigo)

di Fabio Matteuzzi

“Sì, l’uomo era un voyeur, ma non siamo tutti voyeur?”

(Alfred Hitchcock, “La finestra sul cortile”)

 

La morte di Roberto Calasso, avvenuta di recente, alla fine dello scorso luglio, è un brutto colpo per la cultura italiana. Non solo per l’editoria, ma proprio in senso lato per la cultura, per la ricchezza di quello che ha fatto. Il suo nome è certamente legato alla casa editrice Adelphi, sinonimo, da diversi decenni, di qualità. Qualsiasi lettore, intendo chi ha in sé passione per la lettura e per i libri, deve qualcosa a Calasso e ad Adelphi. Così, mi è sembrato doveroso ricordarlo, e la cosa migliore, mi è sembrata parlare di un suo recente volume che parla di cinema dal titolo Allucinazioni americane, ovviamente pubblicato da Adelphi nella collana “Piccola Biblioteca”.

Può sembrare curioso che Calasso si sia soffermato anche sul cinema, ma forse non lo è poi così tanto, se si considera la sua cultura, e quindi la sua attenzione, anche nei confronti del cinema. Cinema da cinefili, quello di Alfred Hitchcock, con particolare attenzione a due film che sono considerati tra i capolavori di Hitch: Vertigo (La donna che visse due volte) e Rear Window (La finestra sul cortile). Cinema da cinefili ma senza cinefilia, qui si va direttamente verso un contenuto narrativo e visivo che è la quintessenza del film: la vertigine o il figmentum, ossia l’immagine mentale, proprio del personaggio (o dei personaggi) femminile interpretato da Kim Novak (Vertigo).

Bella scelta e bella anche la modalità: ho sempre trovato interessante affrontare criticamente i film attraverso una sorta di visione parallela, mettendo in relazione un film con un altro. Ovviamente deve esserci qualche motivo particolare che giustifichi questo approccio e Calasso lo mette subito in evidenza: in primo luogo perché li ritiene due film gemelli, in secondo luogo perché nonostante questa somiglianza sono “l’uno l’inverso dell’altro”.

La somiglianza viene rinvenuta nei personaggi principali, facilitata, almeno nel personaggio maschile, dal fatto che l’attore è sempre James Stewart, uno dei prediletti di Hitchcock. In entrambi i casi il personaggi interpretati da Stewart hanno un ruolo “inquisitivo” (come dice Calasso), fotoreporter in Rear Window, ex poliziotto in Vertigo ed entrambi hanno un handicap, il primo ha una gamba ingessata ed è forzatamente chiuso nel suo appartamento, il secondo soffre di vertigini, causa anche del proprio allontanamento dal lavoro. Entrambi hanno una fidanzata bionda che lavora nell’ambito della moda ed entrambi sono refrattari al matrimonio. Ma oltre a queste, e magari anche altre somiglianze-differenze, in parte strumentali alla narrazione, c’è il nucleo principale attorno a cui ruotano entrambi i film, e Calasso non può che coglierlo quando afferma che entrambi “sono due grandi celebrazioni dell’occhio.” Se in Rear Window questo “occhio” è quello artificiale della macchina fotografica e soprattutto del teleobiettivo, in Vertigo è quell’occhio mentale dove lo sguardo sprofonda, reso attraverso l’astrazione dell’immagine “di una spirale con un buco nero al centro che si trasforma incessantemente.” Questi due aspetti dell’occhio e quindi dello sguardo, artificiale e naturale, obiettivo e interiore, sono entrambi propri dello statuto visivo del cinema, e quindi propri al cinema stesso, tuttavia Hitchcock ne ritaglia in questi film una specificità esplicita ed esibita.

Calasso segue lo sviluppo della narrazione attraverso la vertigine, consapevole che anche lo stile della scrittura deve assorbire questo rischio, farsi vertigine.

Roberto Calasso, Allucinazioni americane, Milano, Adelphi, 2021

 

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