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Intervista a Giovanna Gliozzi, insegnante dell’ ISART – Istituto Superiore Artistico di Bologna.

di Sara Fiori

8 Marzo 2013

 “Da professoressa, qual è il suo punto di vista sul rapporto tra didattica e audiovisivi? Pur non occupandosene a livello disciplinare e curricolare in senso stretto, per quanto concerne il suo personale approccio all’insegnamento, e considerando il fatto che è docente in un liceo artististico, quanto influiscono l’interdisciplinarità e l’attenzione ai linguaggi dell’audiovisivo sul suo metodo e sulla sua esperienza quotidiana con i ragazzi?

 

In tutti questi anni ho insegnato in diverse scuole. Quando inizio a pensare a un progetto o a ideare un percorso in cui si intrecciano, ad esempio, letteratura e cinema, mi relaziono sempre all’indirizzo di studio con cui ho a che fare al momento. Negli indirizzi nei quali non è presente, nel curricolo, una parte artistica o relativa all’insegnamento delle arti, il riferimento al cinema può essere una ipotesi di lavoro, di supplenza, di sostituzione, un surrogato di percorsi che altrimenti non si praticherebbero, può essere solo uno spunto. In questa scuola, un liceo artistico, i miei sforzi si concentrano sulla scelta di opere o di parti di opere cinematografiche che possono essere interessanti dal punto di vista dei contenuti e dei collegamenti disciplinari, ma che al contempo si preoccupano anche di fornire delle esemplificazioni di natura compositiva. Quando mostro un film o un frammento mi chiedo sempre: “Che cosa significa l’aspetto compositivo nel cinema? E  in questo esempio specifico di cinema?”  Mi riferisco in tal senso sia a un percorso storico-critico, sia a percorsi che possono essere di tipo tematico. Ad esempio, approfondire alcuni grandi autori cinematografici del Novecento significa anche lavorare su una idea di estetica, con riferimenti più o meno espliciti all’arte figurativa o plastica. Un’altra cosa che personalmente mi interessa molto, in vista di una possibile professione futura per questi giovani, è cercare di dare rilievo anche alla macchina di produzione cinematografica in cui tante professioni entrano in gioco. Ecco quindi che faccio largo uso, durante le mie lezioni, di testi, di opere cinematografiche (o di loro parti) in cui l’importanza delle professioni tecniche diventa significativo.

In generale, lavoro tenendo presenti tre piani: l’uso dell’audiovisivo nell‘informazione, nella documentazione e nella narrazione. In tutti e tre i casi sono necessarie delle competenze di tipo linguistico-tecnico (che per il momento non sono richieste ai nostri studenti) perché è importante capire che gli audiovisivi hanno un linguaggio. Si tratta di un alfabeto, di una grammatica che può essere utilizzata in tante direzioni: ad un primo livello, per informare, poi per documentare e infine per narrare. La narrazione può essere espressione di correnti, di autori, di epoche, di progetti estetici o poetici, mentre la documentazione rappresenta effettivamente un altro piano di lavoro. Questo non ha certo la pretesa di essere un metodo “esaustivo”, ma mi serve per fornire a me stessa e ai ragazzi degli spunti.

 

Può farci qualche esempio di tali spunti?

 

Un esempio di stamattina: nelle classi quarte è prevista la lettura dei grandi autori teatrali del periodo compreso fra Cinquecento e Settecento. Non faccio leggere solo autori del teatro italiano perché secondo me la direzione didattica da seguire deve essere quella di una cultura perlomeno europea. Uno fra i grandi autori che le classi incontrano è senza dubbio Molière. I ragazzi leggono almeno due opere integrali, dopodiché ragiono in merito alle riduzioni cinematografiche di Molière. Dal momento che mi interessa soprattutto vedere che cosa significa mettere in scena Molière nel suo secolo, organizzo il lavoro sul film Molière realizzato da Ariane Mnouchkine, una delle fondatrici del “Théâtre du Soleil” nel 1978. Si tratta di un’opera stupenda che ricostruisce attraverso un lavoro filologico e al tempo stesso creativo, la figura di Molière come uomo di spettacolo del suo tempo, come artista del Seicento calato nella sua epoca, che vive determinati rapporti con il potere. All’interno dell’edizione in dvd, uscita nel 2004 in Italia in lingua originale con i sottotitoli, i ragazzi possono “addentrarsi”, guidati dall’insegnante, in una serie di materiali extra davvero interessanti per riflettere sul rapporto esistente tra progettualità, creatività e opera d’arte intesa come “soggetto”, soprattutto quando il soggetto non è originale. Per inciso, sono anche convinta che la lingua originale dei film vada valorizzata al massimo, che la parola e la cultura all’origine di ogni processo di creazione artistica rappresentano un aspetto importante da diffondere.

In questi approfondimenti è fondamentale la cura, da parte dell’insegnante, nella scelta dei materiali da mostrare. A proposito dell’esempio citato, non si è trattato di una opzione casuale, tutt’altro. Come dice Antonio Costa, i dvd contengono già un elemento di analisi al loro interno e gli extra devono avere una certa ricchezza. Un altro esempio in questo senso è La Bella e la bestia di Jean Cocteau, che ha extra editati benissimo, i quali, a loro volta, sono occasione di analisi di un altro testo, un metatesto, ovvero un documentario sull’opera, sull’autore e sulla produzione. Faccio tali esempi perché questo rappresenta un tipo di esperienza che può consentire agli studenti di affrontare il lavoro con gli audiovisivi in senso creativo, non finalizzato a un’opera di finzione, ma di  documentazione.

 

In generale come “rispondono” le classi a questi suoi spunti audiovisivi?

 

Benissimo. Da un lato si potrebbe pensare che sia piacevole per i giovani vedere filmati, perché gli studenti di oggi nascono e vivono in una civiltà di immagini, dall’altro è pur vero che poi l’interesse diventa autentico. Alcuni sulle prime sono interessati al fatto che “guardiamo” qualcosa in classe, poi però, man mano che la visione o il lavoro procede si appassionano. Quasi tutte le mie lezioni le faccio utilizzando materiali audiovisivi: non solo il cinema, ma anche la televisione. Proprio oggi ho fatto vedere in classe una puntata di Passpartout, a seguito de I compagni di Monicelli. Queste sono scelte, frutto di un lavoro di preparazione; è l’insegnante che deve ponderare le proposte e tracciare un percorso.

 

A proposito della recente riforma dei licei, sappiamo che per il Liceo Artistico è stato previsto un nuovo indirizzo di studio, il triennio Audiovisivo-Multimediale. Lei tra l’altro ha redatto ed elaborato per questa scuola una sintesi delle indicazioni nazionali sulla riforma: può spiegarci che cosa cambierà con questo nuovo indirizzo di studio? Quando verrà effettivamente attuato a Bologna?

 

Da settembre prossimo, a Bologna, saremo l’unica scuola ad avere l’indirizzo Audiovisivo-Multimediale. La riforma della scuola superiore prevede che esso venga inserito tra i possibili indirizzi del Liceo Artistico e noi lo abbiamo avviato. Come si può immaginare stiamo avendo enormi problemi rispetto alle strutture e alle attrezzature necessarie, però l’obiettivo è quello di fare prima dei laboratori di orientamento (quest’anno sono già stati fatti per tutti gli studenti del biennio con lo scopo di stabilire per ciascun alunno quale potrebbe essere l’indirizzo successivo nel triennio.) Inoltre, per quanto riguarda il triennio Audiovisivo, ci saranno degli aspetti di natura culturale (con tutte le discipline di area culturale generale, come la letteratura, la storia, la storia dell’arte, la filosofia che manterranno lo stesso numero di ore, ma che acquisteranno – immaginiamo – un taglio differente), ci saranno anche insegnamenti che riguarderanno maggiormente le competenze di tipo tecnico-linguistico. Tuttavia, c’è da sottolineare purtroppo il fatto che la riforma ipotizza più la teoria della tecnica che non la tecnica in senso stretto.

 

In prospettiva, secondo lei, quali potrebbero essere le strade future, o meglio “le competenze in uscita” legate a questo indirizzo specifico? Quali figure professionali potrebbero iniziare a delinearsi? Un ragazzo di 19 anni diplomato seguendo questo nuovo triennio potrà, a suo avviso, avvicinarsi a professionalità più “tecniche”?

 

Secondo me sarà difficile. I ragazzi, come già accade adesso, potranno prendere altre strade oppure proseguire con studi universitari, con indirizzi più o meno coerenti, dall’Accademia al Dams. Non prevediamo in tal senso grossi cambiamenti; immaginiamo che uno studente uscito di qui possa intraprendere una strada molto teorica di tipo critico (in aree universitarie come Lettere, Dams, Filosofia eccetera), oppure le già citate Accademie. Una alternativa potrebbe essere a Ferrara la triennale con specialistica nel settore audiovisivo, un indirizzo tecnico, per formare tecnici del settore specifico dell’audiovisivo, dove la dimensione laboratoriale è più significativa: ci sono già studenti che, una volta usciti dal liceo, hanno fatto questo percorso e che dopo la laurea hanno trovato uno sbocco professionale nelle varie emittenti, soprattutto televisive.

 

Per quanto riguarda gli insegnamenti, avviando questo nuovo triennio, è stato proposto di “riaprire” le graduatorie con la possibilità di assumere figure professionali competenti negli specifici settori disciplinari e nell’audiovisivo?

 

Noi insegnanti ancora oggi non siamo in grado di rispondere a questa domanda, perché il Ministero tutt’ora non ha identificato delle classi di abilitazione. Ci sono dei riferimenti al passato, che però in molti casi non hanno alcuna ragion d’essere rispetto alle competenze effettive dei docenti e si è completamente vanificato un percorso a tal proposito. Mi riferisco al “Piano nazionale per la promozione della didattica del cinema e degli audiovisivi” varato dal Ministro Berlinguer nel 1999 che prese avvio effettivo nel febbraio del 2000 e che durò circa una decina d’anni, con vicende alterne. In Emilia Romagna fu affidato operativamente all’ agenzia di ricerca didattica IRRE (chiusa proprio quest’anno) e al Dams. Allora facevo parte del comitato tecnico-scientifico, insieme a personalità competenti, tra i quali Roy Menarini e Claudio Bisoni (che oggi lavorano al Dams) e soprattutto Antonio Costa, il responsabile più autorevole che coordinava questa operazione. Il nostro lavoro si concretizzò in un piano molto interessante che prevedeva la formazione dei docenti (in parte teorica, in parte laboratoriale), delle cosiddette “ricadute didattiche” di laboratori in aula con gli studenti, che ho fatto proprio in questa scuola, e che sortirono notevoli effetti di interesse tra i ragazzi, perché ci furono i primi diplomati che dopo il liceo andarono al Dams o a Ferrara a studiare, ed infine dei momenti di raccordo seminariale annuali dove si rimetteva a punto il progetto. Questo piano stabiliva che si formassero da un lato delle professionalità di docenti già in servizio e dall’altro che si contemplasse il fatto che i percorsi audiovisivi entrassero nelle scuole a tutti gli effetti (e questa è l’unica cosa che si è consolidata) e si regolamentasse formalmente la professionalità di chi usciva dai percorsi formativi del Dams (e dell’indirizzo Cinema in particolar modo). Questa ipotesi di lavoro si è concretizzata nella formazione decennale di una piccola parte di docenti, però non ha trovato la sua traduzione legislativa, operativa e strettamente scolastica. Ce l’avrà, speriamo. Personalmente con tutta probabilità insegnerò Letteratura Italiana nell’indirizzo Audiovisivo, quindi un approccio che per me è già abbastanza “naturale” troverà una sua ragion d’essere più fondata, però non potrò mai insegnare i linguaggi specifici.

 

Parlando di cinema come linguaggio, a livello laboratoriale ed operativo, le è mai capitato di sperimentare con le sue classi? Di realizzare video?

 

Ai miei studenti assegno degli esercizi di tipo audiovisivo. Spesso i ragazzi, avvalendosi dell’apporto anche di professionisti esterni, realizzano lavori di documentazione video di attività didattiche o progetti svolti durante l’anno scolastico. A volte si tratta anche di esperimenti “catastrofici” dal punto di vista della qualità, ma non è importante. E’ come una scrittura.

 

Ci può fare qualche altro esempio di esercizio audiovisivo?

 

Recitare un sonetto di Dante con vincoli e regole (come la collocazione in una cornice di tipo storico, una determinata durata): l’esercizio si fa in gruppo, con la videocamera. Oppure con il video Il giardino dei finti confini dove gli studenti documentano l’attività laboratoriale di discipline plastiche svolta in un anno di scuola, a partire da un concetto e da una progettualità specifica (un giardino di piante finte, in questo caso). Inoltre gli esercizi possono anche avere un aspetto più scolastico, ad esempio, facendo un lavoro di individuazione delle sequenze più significative a partire da un input dato e circostanziato come, per citarne un paio, l’uso del fuori campo, o quello del fuori vista.

 

Secondo lei un insegnante può educare al cinema e trasmettere il valore estetico di un film, formando il senso artistico dei giovani? Lei dà anche suggerimenti di visione? Fa vedere film ai ragazzi proiettandoli in classe?

 

Assolutamente sì, lo si deve fare. Nelle mie ore di lezione si va dalla proiezione dell’opera completa, al frammento filmico. Il tutto avviene in relazione al percorso letterario di un anno: non necessariamente viene prima la letteratura, spesso per far compiere ai ragazzi un percorso parto dal film, perché nella mia testa l’input arriva dalle immagini. Ad esempio, mi interessa mostrare come uno stesso soggetto preesistente nella letteratura storica come il Macbeth di Shakespeare viene interpretato nel Novecento a seconda dell’epoca in cui il film viene realizzato. Mostrandone varie sequenze, tratte da versioni cinematografiche diverse, posso anche portare avanti un discorso analitico di tipo tecnico. Cerco di fare con il cinema ciò che porto avanti anche con la letteratura: ci sono opere che si leggono per il piacere (o il dispiacere) di leggerle, per avere la visione complessiva dell’opera, per la trama e la sua costruzione, per la lingua, per il contesto storico e per l’appartenenza a una corrente, in tutti questi casi le leggiamo per intero; invece ci sono molte opere che ci interessano per qualcuno di questi aspetti, per cui ne vediamo solo delle parti e nell’analisi di quei frammenti mettiamo in evidenza gli aspetti che riteniamo peculiari dell’opera rispetto all’obiettivo che abbiamo. Secondo il mio modus operandi per gli audiovisivi e il cinema è la stessa cosa. Se ad esempio voglio far vedere l’utilizzo della dissolvenza al nero (una questione linguistica), prenderò quattro o cinque esempi ed essendo all’interno di un percorso liceale e non universitario, non farò una analisi critica, bensì proporrò un percorso di tipo storico. Altro esempio: posso lavorare sui generi. Nelle classi terze è l’anno della Commedia di Dante e del Decameron di Boccaccio: posso decidere – e non lo faccio mai a priori, dipende sempre dalla classe con cui ho a che fare – ad esempio di partire, nel mio percorso dalla lettera in cui Dante spiega perché chiama l’opera Commedia, per poi arrivare a Tootsie di Pollack in cui i topoi della commedia plautina sono descritti e messi in scena nella dimensione della soap opera televisiva che i ragazzi conoscono nell’ambito della loro esperienza quotidiana.

 

C’è anche uno sforzo, una volontà di continua commistione tra presente e passato

 

Certo, questo ha un intento pedagogico: se abbiamo Plauto “laggiù in fondo”, poi Dante, sempre molto lontano per i ragazzi, poi un film di Pollack che, seppur realizzato negli anni Ottanta, per dei giovani nati alla fine degli anni Novanta sa già un po’ di “preistoria”, in questo caso ci mostra comunque New York in un mondo in cui c’era già la televisione. E poi Un posto al sole che va in onda tutte le sere. A questo punto c’è la possibilità, l’abilità un po’ panpedagogica, di tenere insieme passato e presente. Avvicinandoli possiamo fare in modo che l’arte, la letteratura, la storia parlino ai ragazzi.

La mia lezione è proprio questa: provare la gioia di godere di tutto ciò di cui possiamo appassionarci, ma di cui, se non ci parlasse e se non ci comunicasse qualcosa, saremmo difficilmente in grado di godere. ”

 

Sara Fiori

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